Comiche rusticali

 

                        Cominciamo da un sacerdote, che fu in quel tempo una vera istituzione per i nuscani, oltre che arciprete della Diocesi ed insignito del prestigioso titolo di Monsignore. Egli era, per la verità, un poco burbero ed anche insofferente ad ogni forma di bigottismo o santonomia, come ad ogni atteggiamento eterodosso dei fedeli.

                        Un giorno l’arciprete si apprestava a somministrare il santo battesimo ad una neonata, senza avere il minimo sentore che quella volta l’usuale funzione levitica gli avrebbe riservato una sorpresa. Infatti, era stato prescelto per la neonata, in aperto contrasto con il calendario liturgico, l’inusitato, strano nome di NOCCA..Allora l’arciprete, trattenendo a mala pena un gesto di stizza, disse ironicamente ai genitori: “E si nasceva masculu, lu chiamavi NURUCU?”

 

                        In un altro episodio, l’arciprete si trovò alle prese con una bigotta visionaria, appartenente ad una casta di notabili paesani, pienamente arroganti. Era una di quelle gentildonne che, per non far pesare troppo l’appartenenza ad una supposta sfera superiore, ci accarezzavano da ragazzi come simpatiche bestiole che, al giardino zoologico, avessero sporto la testa verso di loro dalle sbarre!

                        Ebbene, la signora rivelò all’arciprete di aver visto in sogno l’inferno come “una cosa stretta stretta, scura scura, e che puzzava assai”, chiedendogli, poi, con petulante insistenza, un giudizio di verosimiglianza sulla onirica visione. Ma l’arciprete, non riuscendo più a reggere quel rotatorio, fu costretto a dirle perentoriamente:” Figlia mia, quissu nunn’è nfiernu; è purtusu ri…” e si trattenne appena dal nominare il sedere al cospetto di una signora. “O tempora, o mores!”.

 

 

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                        Di natura e ceto diversi era invece “zì Rachela”, un’ottima massaia, costretta da una vita a governare con la necessaria efficienza una numerosa famiglia patriarcale, composta di lavoratori instancabili, ma anche fortissimi mangiatori! Un avvenimento straordinario sconvolse la monotona esistenza di “zì Rachela”: ritenne infatti di aver visto, durante l’ultima guerra, il diavolo in pieno giorno ed in carne ed ossa, così come veniva allora dipinto sulle sacre effigie: gli mancavano “sulu ru cornu!”. In realtà si trattò di un soldato negro, che le apparve improvvisamente “a la via ri la Funtana”, mettendole addosso un grande spavento.

                        Passò del tempo prima che “zì Rachela” potesse rimettersi dallo shock subito; intanto, fu costretta a ricorrere alle cure del medico, che le dovette prescrivere le “siringhe indovinose”, come ella soleva dire. Povera “zì Rachela”: chissà se dopo quella disavventura apprese che “pu li nihuri lu riavulu è ghiancu!”

 

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            Ed eccoci all’episodio in cui restò addirittura coinvolto S.E. Pasquale MORES, uno dei grandi Vescovi della Diocesi di Nusco, e la cui personalità raffinata ed aristocratica ma si attagliava, in quei tempi ruspanti, alla rustica condizione nuscana.

                        Un giorno Sua Eccellenza tornava tranquillamente dalla sua passeggiata vespertina, quando scorse dei contadini ancora intenti al lavoro, nei vicini campi. Si fermò allora per benedirli e per chiedere loro come si presentava il futuro raccolto. In risposta, i contadini, già scappellatisi in segno di riverenza, gli dissero con tono di voce ingentilito per la circostanza: “Accillenza, pu mò ru cosu vannu bunarellu e ri questu ringraziamu lu Signoru, spurannu c’appriessu n’acqua subutania nun ci va ‘nculu!”. Al che Sua Eccellenza, con qualche imbarazzo, si accomiatò da loro.

 

                                                        Daniele Simpatico

 

Da “IL NUOVO SUD” A. X n. 4 Luglio-Agosto 1999