Da lontano un antico fervore
Deliziosa l'alba di metà settembre, a Nusco. La si poteva ammirare meglio dalle
balze della Macchia, dov'ero solito sostare. Il primo sole accarezzava i muri
sbiaditi delle case e li rischiarava, mentre le tegole, ormai secolari,
riflettevano la nuova luce con piccoli, frequenti bagliori. Una calma assoluta.
La sensazione di un luogo adatto al respiro, alla meditazione. Piante e siepi
appena mosse dall'arietta mattutina, tanti colori discordanti e carichi, vigneti
che si arrampicavano lungo i dossi, tutto contribuiva a rendere lo spettacolo
mite e struggente. Né rompeva l'incantesimo un ruscelletto che mi scorreva a
fianco, in tumulto per le recenti piogge. Cosa di poco conto, anzi quasi un
accompagnamento musicale.
A quell'ora l'aria era pungente ma salubre e tersa, valeva la pena respirarla a
pieni polmoni. Gli odori, poi. Li "sento" ancora oggi quegli aromi
gustosi, anche se con il tempo sono andati scemando.
Momenti magnifici e suggestivi.
Per tanti anni l'ho inseguita una circostanza simile. Niente da fare, sono solo
riuscito ad individuarne una qualche copia sbiadita. A volte ho finto a me
stesso. Mi sono detto che, sì, quello era l'ambiente giusto, invece...
Cosa aveva Nusco di speciale? Probabilmente nulla, sicuramente nulla. Ma c'è una spiegazione: ciò che si vive nella prima età resta impresso nella mente in una materia indelebile. Da questo il mio fervore. Nonostante tutto non nascondo il sollievo nel rievocare attimi felici e sublimi né desisto da questo vecchio, tenero amore
Angelo Pepe
da IL NUOVO SUD Anno XiX nn. 4/6 (80) Agosto - Dicembre 1999