I lievi sospiri della fanciullezza

                                        In autunno il torrente Gargone si risvegliava. Prendeva le forme di un vero e proprio fiume, diventando in qualche occasione addirittura minaccioso. Lo conoscevo bene, fino al punto di parlargli: "Dai, fai il bravo, non costringermi ad allungare il percorso fin su Tagliabosco per scavalcarti. Maledetto, sei crudele! ". Tutto invano. Non si curava certo delle mie suppliche, specie dopo i temporali. Eppure mi ero affezionato a quel torrente, tanto che, a distanza di anni, mi è parso di risentire nella mente il frastuono inconfondibile delle onde che si abbattevano sui grossi massi, situati lungo gli argini. O il continuo fruscìo che di notte mi teneva compagnia, come una lunga e interminabile cantilena. Credo però che si sia trattato solo di una suggestione. Spesso accade di ritrovarsi, almeno per un attimo, in una condizione surreale, che fa rivivere situazioni lontane nel tempo. Dai primi giorni di settembre con il Gargone bisognava convivere; ed io mi ero adeguato. Francesco preparava un minuscolo rifugio, poco distante dal torrente. Una cosa ben fatta, ricoperta di frasche e di terra. Fino a Natale si trasformava in una specie di "casa", poi arrivava il gelo e con esso il ritorno a Nusco.

                                        Le serate erano lunghe. Ancora più interminabili le notti, con tutto il loro fascino un po' lugubre, un po' misterioso. Vedevo Nusco, lassù, sulla cima dell'altura e pensavo ai miei compagni di gioco. Inseparabili, mi avevano forse dimenticato? Senz'altro i primi giorni mi avevano cercato, ma non trovandomi avevano ripreso la vita di sempre. Questo mi pesava enormemente. Non riuscivo a farmene una ragione. Solo una volta fui fortunato. Incontrai Ernestina e Gerardo e trascorsi tre o quattro mesi davvero belli in quella valle solitaria e incantata.

                                        L'ho ritrovata Ernestina. L'incontro è stato festoso, con accenni di commozione. Non era entusiasta di ciò che aveva realizzato fino a quel momento, né era prodica di notizie che la riguardavano. Il matrimonio, la grave perdita del marito in un incidente di lavoro dalle parti di Zermatt in Svizzera, a causa di una valanga, la rassegnazione, poi la ripresa e la voglia di rifarsi una vita, le solite cose sentite tante volte da tutti gli emigranti: la gioia, i dolori, il lavoro, i rimpianti. Dallo sguardo penetrante si intuiva un disagio ben dissimulato, mitigato in parte dal desiderio di apparire ``normale".

                                        La fanciullezza trascorsa a Nusco, tra mille difficoltà, l'aveva temprata, le aveva consegnato una corazza caratteriale al punto tale da renderla impenetrabile. Enigmatica e decisa, non lasciava trasparire ciò che si portava dentro.

                                        E i sogni di quando era ragazzina? E i propositi di un avvenire roseo e brillante? Era stata lei a prospettarli, ed io avevo creduto alle sue parole. Chissà, ora, se Ernestina se ne ricordava, chissà se aveva avuto il tempo e l'opportunità per realizzarli... Meglio sorvolare, meglio il silenzio. In questi casi aiuta di più il distacco, il rendere tutto meno evidente. L'alba era appena spuntata, alla Gargone il sole non era ancora giunto. Ernestina mi veniva incontro con l'aria divertita di chi fa una gita in campagna. Il sorriso largo e accattivante, gli occhi scuri e belli. Leggiadra e vivace, io l'ammiravo, sorpreso da tanta grazia e da tanta disponibilità. Una ventata di freschezza e di giovialità, la sua.

                                        Portava un cesto con dentro "la roba" da mangiare per suo padre, che lavorava nel bosco a fianco a noi. - `Angelo, ci sei anche tu. I tuoi amici a Nusco ti cercano". - "È la prima volta che vieni ai boschi? Ti sei trovata in difficoltà per la strada?­

                                        - "Un po'sì. Mi costringono a venire quaggiù per tutta la durata dei lavori­

                                        - `Bene, vuol dire che mi terrai compagnia—.

                                        La mattina dopo ci rivedemmo, e così per tutto l'autunno. Ernestina sembrava estranea a quell'ambiente. Per contro lei non faceva niente per dissimularlo. Una "cittadina" capitata lì per caso, distaccata e disinvolta. Questo suo atteggiamento la rendeva ai miei occhi una ragazzina sicura di sé, affascinante, spigliata. Ogni mattina ero lì ad attenderla. Arrivava sempre con il fiato in gola: "Scusami, ho fatto tardi. Tra il preparare la "roba", i servizi di casa, la strada sconnessa... "

                                        - "Fa niente, non devi scusarti, l'importante che sei arrivata... "

                                        Seduti sull'erba ancora alta, vicino al torrente, facevamo i nostri progetti per il futuro.

                                        - "Io desidero evadere, andare il più possibile lontano da Nusco, crearmi un avvenire che sia diverso da quello di mia madre, di mia sorella, di tutte le donne di Nusco. Sento che la mia vita sarà altrove, tra gente civile, ricca, distinta. Sogno sempre di essere in una casa grande e bella, e mi vedo già sposata con un uomo alto, biondo, benestante, tutto vestito di azzurro. Oh! come creperà d'invidia la gente di Nusco, quando tornerò. Scommetto che non mi riconoscerà! E tu? che farai?­

                                        - "Anch'io vorrei lasciare Nusco, come te, stare meglio, cambiare vita" - rispondevo sorpreso dalla sua sicurezza. Non riuscivo a dire altro. Se avessi avuto più coraggio le avrei gridato in faccia che ero disposto a seguirla. Ma Ernestina era troppo presa dal suo "sogno", non aveva il tempo per riflettere che le sue parole mi facevano solamente male. Era un fiume in piena: "Appena arrivo all'età giusta, ciao Nusco. Nessuno mi fermerà. Ci so fare, io. Vero Angelo?" Restavo muto. Ero preso da quella ragazzina così vivace, con le idee chiare. Non me la sentivo di competere con lei. Allora mi arrendevo e portavo nel cuore una segreta speranza. Era gentile Ernestina, amabile. Quando, come aveva promesso, lasciò Nusco, credette di avviarsi verso la felicità...

*   *   *

                                        Gerardo mi apparve all'improvviso, un pomeriggio di settembre. Se ne stava sdraiato sotto una pianta. "Come ti chiami? È vero che sei di Nusco? Se sei capace di mantenere un segreto ti svelo qualcosa di interessante. Io vengo dalle campagne di Montella, noi montellesi sappiamo tenere la bocca chiusa". - "Anch'io, ti puoi fidare". Aveva uno o due anni più di me ma sembrava già adulto, lo sguardo deciso, le maniere brusche. "Bene, se sei disponibile domani mattina presto fatti trovare lassù, dalle parti del pozzo. " Puntuale giunsi sul posto, ma di che si trattava? Gerardo, con fare circospetto, mi condusse dietro una siepe. `Ecco, fra poco arriveranno le donne a prendere l'acqua, e quando si chineranno per calare il secchio nel pozzo, noi di qua potremo ammirare... tu avrai già capito—. Fu così che per mesi ci intrattenemmo sotto quella siepe, la mattina presto.

                                        Era un gioco che si mescolava ad un comprensibile erotismo, sostenuto da una punta di sarcasmo e da una tensione vera, autentica. I giorni passavano e noi eravamo sempre più presi da quello spettacolo in­vitante e gratuito. Gli odori che la campagna emanava lo rendevano ancora più appetibile. Due giovincelli che si abbandonavano alla naturalezza delle cose, senza infingimenti, senza sensi di colpa.

                                        Gerardo restò per me una persona geniale. Non l'ho più rivisto, non l'ho più nemmeno cercato. A volte ho l'impressione che si sia trattato di una storia da me inventata, e mi resta il dubbio che sia realmente esistito. Certo che è esistito, basterebbe cercarlo nella piana di Montella. Ma a che servirebbe. Più giusto lasciare al ricordo i lievi sospiri dalla fanciullezza.

Varese maggio 1995      

      Angelo Pepe 

da IL NUOVO SUD Anno XV n.4 (65) Agosto/Dicembre 1995