L'agnellino

 

                                        Il vento recava con sé il profumo di una primavera già avanzata; passava radente tra le querce dei boschi e risaliva le valli, sibilando una voce che pareva un lamento. L'impressione era che fosse un'anima viva, ora buona ora turbolenta e capricciosa. Erano i primi giorni di maggio, tutto aveva ripreso a vivere e la natura sembrava trarne sollievo. Di fronte a Nusco, le cime dei monti erano ancora ricoperte di neve e luccicavano come se, nelle ore notturne, vi si fossero adagiate sopra tante piccole stelle.

                                        Francesco ed io facevamo ritorno a casa, dopo una faticosa giornata di lavoro nei boschi. Giunti nella valle della stazione ferroviaria sostammo per riprendere fiato, prima che il tramonto, un po' malinconico, rendesse rosseggiante la campagna circostante.

                                        Il motivo di quella sosta ce lo aveva offerto il passaggio di un gregge di pecore, che risaliva verso i monti dopo aver trascorso i mesi invernali in luoghi più miti. Una lieta sorpresa per me, che avrò avuto sì e no una decina d'anni. Uno spettacolo affascinante: i cani in­seguivano senza sosta le pecore staccatesi dal gruppo, i pastori recuperavano gli agnellini rimasti attardati, con il suono gioioso delle campanelle a far da concerto.

                                        Uno dei pastori, molto stanco su di un muricciolo, accanto a noi. Parlò delle difficoltà incontrate nel rientro dalla "Terra di Lavoro", dove durante l'inverno il gregge aveva potuto brucare erba ancora fresca. Sul suo volto si leggeva la sofferenza per gli sforzi fatti: tante notti passate in ripari di fortuna.

                                        Francesco annuiva e pareva anch'egli avvinto da quella vita avventurosa. A diciannove anni era ormai pronto, come quasi tutti i giovani della sua età, a fare il grande salto: ... Lasciare Nusco e guadagnarsi il pane altrove. Tanta era la ristrettezza economica nella sua numerosa famiglia che aveva preferito aiutare mio padre nel lavoro di boscaiolo, assicurandosi almeno un piatto caldo: l'unica contropartita che i miei, poveri anche loro, erano in grado di assicurargli!

                                        Quando il gregge si allontanò, riprendemmo anche noi il cammino. Dopo qualche centinaio di metri, alla confluenza di due stradine, di fianco al ponte della ferrovia, notammo un agnellino che era rimasto impigliato in una siepe di spine. Francesco esclamò: "Questa sera è festa!". Sorpreso e dispiaciuto, lo invitai a rincorrere i pastori e a darlo indietro. "Tu hai un cuore troppo tenero, amico mio" - rispose con piglio deciso.

                                        In un attimo lo mise in groppa all'asinello che, carico di legna, ci faceva compagnia. Lo ricoprì con un giubbotto. Ma l'agnellino continuava a belare, allora gli assestò un colpo alla nuca, così che l'animaletto restò immobile.

                                        . "Vedi - cercava di spiegarmi - la vita è dura, se ti lasci impietosire non riesci a tirare avanti".

                                        - "Quando i pastori lo cercheranno, questa sera... " - rispondevo dubbioso. "Va bene, hai ragione, è un gesto che non avremmo dovuto compiere, ma quando l'avremmo assaggiata un po' di carne fresca... Un agnellino perde il suo gregge e noi... E poi cosa vuoi che sia un agnellino per un pastore che di pecore ne avrà duecento!... " Il suo discorso mi convinceva poco, ma poi alla fine accettai dentro di me il fatto compiuto: Francesco, in fondo, era già adulto e sapeva bene quel che doveva fare...

                                        È inutile dire che la festa fu davvero grande, quella sera, in casa.

                                        Ci siamo rivisti con Francesco due anni addietro, nel mese d'agosto. Erano quelle le mattine in cui il cielo era pulito e da Nusco si potevano ammirare in lontananza tutte le valli circostanti. I vecchi avevano già preso posto sulle panchine della piazza, e Francesco s'era intrattenuto con loro, per salutarli. Il giorno prima era arrivato dalla Francia, dove era emigrato tanti anni fa. Il lavoro nella miniera di carbone aveva lasciato il segno: zoppicava vistosamente.

                                        Abbiamo gironzolato, questa volta in auto, per le campagne di Nusco. Belle strade, scorrevoli, tutte asfaltate; né abbiamo incontrato pastori o asinelli, solo qualche contadino. Ci siamo fermati accanto ad una sorgente d'acqua, poco sopra la chiesetta di Fontigliano; era lì che Francesco riempiva i barili, per poi addentrarsi nella boscaglia.

                                        - "E sì, quanta è strana la vita - diceva, passeggiando al fresco del castagneto - Mi ricordo come se fosse adesso, la mia partenza fu come un sogno: un biglietto ferroviario tra le mani, destinazione ignota. Poi la solitudine, la lingua, il rimpianto di aver lasciato il luogo dove sei nato"! "Ma come, rimpianto di che?" - lo interrompevo.

                                        - "Vedi, la miseria ti cacciava, ma poi ti trovavi solo e pentito di essere partito—.

                                        E rammentava i primi giorni del suo arrivo nel Nord della Francia, al confine con il Belgio. La pioggia veniva avanti adagio adagio, fino a penetrare nelle ossa. Il paesaggio nascosto da una coltre grigia. E il pensiero rivolto a Nusco, ad inseguire con la mente le bellissime e chiare giornate che trascorreva tra le valli dell'Ofanto o sulle cime della "Piana del Vento". Anche quando sopra le alture che chiudevano le valli c'erano masse di nuvole, non se ne preoccupava molto; sapeva che il levar del vento le avrebbe dissolte.

                                        Ecco, questa mancanza di chiaro si ripercuoteva su di lui. La luce era sempre velata, e velato di tristezza il suo animo. All'inizio portava un rancore sordo; poi subentrò la rassegnazione. Infine, con il passar degli anni, la consuetudine prese il sopravvento...

                                        - "Eppure mi sono fatto volere bene. L'abitudine al lavoro duro mi ha aiutato" - diceva fra sé e sé. "Con gli altri emigranti eravamo come fratelli: polacchi, portoghesi, algerini, tutti solidali... ".

                                        Ora riviveva, per un attimo, lontani momenti di vita quotidiana. Riconosceva le siepi, le stradine, i ru­scelli. "Qui abbiamo fatto quintali di carbone, con tuo padre. Quanta fatica!" - ricordava. "Su quel costone, la sera tardi, cercavo nidi di merli e di gazze; quando gli uccellini erano abbastanza grandi li facevo allo spiedo. La frutta poi era il mio piatto preferito: tutti i contadini che avevano terreni confinanti con la strada che portava a Nusco, temevano le mie incursioni. Mele, pere, ciliegie, fichi, tutto razzolavo. Ero giovane, lo stomaco non si accontentava mai... ". "Se andiamo più avanti, verso il territorio di Bagnoli Irpino, ti faccio vedere la "nostra casa" - diceva con tono scherzoso.

                                        Più avanti, infatti, trovammo una vecchia capanna, ormai diroccata. Era servita, per anni, da sicuro rifugio. "Che stupore ad ogni sorger d'alba, questa capanna mi sembrava una "reggia" - sospirava. Ora vedo solo una capanna e basta. No, non rinnego niente, solo che la realtà è quella che è... ".

                                        Un'ultima sosta prima di arrivare a Nusco. Poco sotto la spianata di S. Giovanni e Paolo una grande masseria vuota e, nei campi, nessuno. In passato era stato un luogo prospero e pieno di gente; a sentire mia madre, che in quella masseria era nata, quando d'estate si ballava sull'aia vi erano non meno di un centinaio di persone. Ora solo l'abbaiare di un cane, forse randagio.

                                        - "Anche `zia' Carmela ci ha lasciato - sussurrò Francesco. Ogni volta che passavamo di qua riusciva ad infilarci sempre qualcosa nella tasche: uova, noci, uva secca... Le piante di gelso ci sono ancora; ti ricordo bene, sai, le mani e la faccia tutte tinte di rosso... ".       

                                        Una domanda, al commiato, mi venne di farla: "E l'agnellino? Fosti davvero spietato!". Esitò un attimo, poi rispose: "Vedi, devo dirti la santa verità. Non ho mai dimenticato, e ti dico anche perché. Perché con il tempo ho capito che i pastori erano poveri diavoli come noi, lavoravano duro, giorno e notte. Sinceramente, ho riflettuto, ed ho sempre portato, come dire, un peso sulla coscienza—.

                                        Francesco, ora, passata la fame, sembrava più propenso a meditare...

Varese, gennaio 1992

Angelo Pepe

da IL NUOVO SUD Anno XII n.1 Gennaio/Febbraio/Marzo 1992