LA CHITARRA  

                    Per ricordare il buon padre di famiglia, l'abile falegname, il valoroso sergente maggiore e Cavaliere di Vittorio Veneto, riferirò il fatterello che ha dell'aneddotico e che ha dato origine a una modo di dire tutto nostro, intendo nuscano. Richiedere a Giuseppe Lanzetta, classe del 96, il racconto di fatti personali o altrui, per il piacere che provava nel tener banco di narratore, era, per dirla in gergo nostrano, come invitarlo a carne e maccheroni. E sì che ne sapeva di storie lui che era stato a varie riprese in America, aveva trascorso quattro anni in trincea nella prima guerra mondiale, aveva letto ogni giorno il Mattino di Napoli. Molto raramente si avvedeva che il fatto richiesto era stato già oggetto, e più volte, di compiaciuta narrazione. Solo una volta mi colse in flagrante, e si trattò proprio della storia della chitarra, che a noi piaceva di riascoltare, come a lui rinarrare.

                    Era stato varie volte in America dove, avendo frequentato le scuole elementari e professionali, aveva imparato bene la carpentiera e l'inglese. Spesso la gente ricorreva a lui per la lettura e la scrittura di lettere in lingua angloamericana. Per questa, che conosceva alla perfezione, aveva un vero e proprio debole, sicché parlando intercalava termini ed espressioni inglesi che si affrettava immediatamente a tradurre. I pezzi avevano un po' di colore quando si riferivano agli anni vissuti in Boston, Filadelfia,New York. Aveva tutto il sapore del Cuore di De Amicis il fatterello, tante volte rievocato, di quando, ritornato a distanza di tempo negli Stati Uniti, ritrovò dopo lunghe ricerche il padre, al quale non riconosciuto tenne celata per un po' la propria identità.

                    E veniamo alla storia della chitarra, il pezzo forte del suo repertorio.

                    Il protagonista merita un nome, ma io non sono disposto a giurare di averlo bene impresso nella memoria. Invece che lasciarlo nell'anominato, diamogli le generalità che mi sembrano più probabili e chiamiamolo Francesco D'Ambrosio, coltivatore diretto e benestante.

                    Un giorno il nostro contadino si mise in testa di possedere una chitarra che, oltre ad elevare il suo pre­stigio, gli avrebbe consentito di allietare le feste in famiglia e ingannare parte del lungo e rigido inverno nuscano. Se ne venne quindi in paese alla ricerca della persona che viaggiava spesso e prendeva commissioni da artigiani e commercianti. A costui compare Francesco, senza metter mano alla tasca, ordinò l'acquisto di una chitarra nuova e di buona marca. Il corriere, che non aveva troppa confidenza col nostro e non se la sentiva di anticipare per uno strumento a chi non faceva professione di suonatore, non rifiutò ma neppure si preoccupò di comprare l'ingombrante aggeggio. La prima volta riferì che non ne aveva trovate in Avellino. La seconda tirò fuori il pretesto che vari contrattempi gli avevano impedito di raggiungere il negozio. Alla terza disse che il negoziante di Napoli, suo amico, aspettava una partita di chitarre da una fabbrica del Nord. Compare Francesco compariva puntualmente in paese la domenica mattina per ritirare il suo gioiello; successivamente e amaramente deluso, lontano le mille miglia dall'immaginare il vero, ripeteva la commissione, senza accennare la mossa di portar la mano destra alla tasca di dietro dei pantaloni o la sinistra a quella della giacca. Al corriere, che in­vano attendeva l'esborso del denaro, non necessitava grande fantasia per inventare una qualsiasi ragione a giustifica del mancato recapito. In tal modo passarono settimane e mesi, senza che il nostro aspirante strimpellatore potesse aver la gioia di perfezionarsi nell'arte delle sette note. Finalmente un giorno, dopo aver venduto un vitello alla fiera del Rosario, la terza domenica di ottobre, si ripresentò al concittadino viaggiatore per ripetere la richiesta. E questa volta, o per calcolo o per gesto meccanico, mise mano al portafogli e cavò fuori una cartamoneta fiammante, che faceva la somma occorrente per la compera e per lo scomodo. Fu allora che nacque il motto, da me qualche volta udito, che ricorre sulla bocca di chi vede finalmente sborsare l'anticipo per la conclusione di un qualsiasi affare. Dunque il cittadino corriere fu presto ad allungare un mano nel mentre che proferiva il proverbiale: "Mo' vu suna'!". In italiano: "Ora vuoi suonare! ".

 

                              Michele Della Vecchia

da IL NUOVO SUD  Periodico di Cultura e Informazione