Le anime del Purgatorio: "ora pru-veru "

 

                    I miei ricordi di "zi Filumena" si fermano ai freddi pomeriggi d'inverno che veniva a trascorrere nel negozio di mia madre, col suo bravo fuso tra le mani che roteava instancabilmente. Rammento la buona vecchietta sempre vestita allo stesso modo, quando, seduta attorno ai braciere, intratteneva noi piccoli con raccontini in cui San Pietro recitava sempre la parte del comico bonaccione. Dimenticavo di precisare che non era mia zia ma che tutti la chiamavano così. Il cognome o il nomignolo - ce l'aveva anche lei - non erano più necessari.

                    Un filo rosso legato alle zampe distingueva le sue gallinelle da quelle degli altri gruppi razzolanti nel quartiere "dietro le mura". A chi le domandava se avesse paura a non vedersi nessuno per la casa, rispondeva di avere un'arma potente; quindi affondava la mano scheletrita dentro una profonda tasca della veste e ne traeva fuori la corona di rossi e tondi coralli, che faceva dondolare sotto i nostri occhi increduli. Quel gesto in seguito l'ho visto tante volte ripetere alla padrona del negozio. E, poi aveva dalla sua le anime del Purgatorio, quelle dei suoi morti e di tutta la buona genie di Nusco.

                    In una occasione, soleva dire, le erano state vicino. Era la notte del 14 agosto, vigilia della festa che anche allora richiamava gran parte del popolo nuscano al santuario di Fontigliano, ai piedi della montagna. La mattina, alle prime luci dell'alba, la "compagnia" si ritrovava dinanzi alla cattedrale per muovere in processione sino alla chiesa dell'Assunta. Filumena. a quel tempo ancora giovane, non aveva bisogno della sveglia; del resto chi l'aveva allora in paese? Ma il gallo avrebbe certamente cantato. E infatti il re dei pollaio salutò sonoramente i primi albori. In un batti­baleno, data una rapida occhiata alla finestra, la buona donna fu pronta e uscì in strada. Stava per prendere la via della chiesa madre quando le giunse all'orecchio il canto della compagnia, già in viaggio e forse al Calvario. Lesta lesta prese la strada del castello per ricongiungersi con gli altri. In poco tempo fu alle croci, rischiarate dal una vivida luce che pioveva dall'alto, da una grande luna che Filumena non aveva visto sfolgorare quasi allo zenit. Purtroppo il canto che le giungeva distinto si era allontanato: la processione era nei pressi della piana di San Giovanni e Paolo. La nostra muove all'inseguimento con maggiore lena, sicura che l'avrebbe raggiunta. Per la strada non incontra nessuno. Muricciuoli, siepi e campi sembrano risonare di quel canto lontano. Soltanto lei era stata in ritardo. Giunta nella piana, dove si incrociano varie strade tra cui quella dal cimitero, volge un pensiero a quelle anime benedette e recita vari requiem con la tacita richiesta di un piccolo aiuto. La compagnia, che sì annunziava ancora vicina con l'eco dei canti, stava forse sfiorando la fontana del Lione. Ancora una sforzo e il sospirato ricongiungimento sarebbe avvenuto. Via di buon passo per la strada ciottolosa che portava alla stazione. Al Lione diede un rapido sguardo alle vasche di pietra viva in cui i raggi della luna creavano fantastici giochi di luce e imboccò la ripida discesa detta - ma più nel senso inverso - del Montanaro. Della compagnia nessuna traccia: il canto si era allontanato con essa. Strano: nonostante gli sforzi che faceva, Filumena notò che quanto aveva avanzato lei, di tanto, ad ogni tappa, si era distanziata la processione. Lo stesso fu al ponte della ferrovia, nel fondovalle, lo stesso alla macchia, a metà strada tra la stazioni: e Fontigliano. Scusate, ma mi sembra opportuno incastonare qui un verso di Omero: né alcun dubbio le sorgea nel cuore. Intanto udiva distinto il canto dei fedeli i quali salivano l'ultimo tratto che immette sulla spianata della Chiesa.

                    Ormai l'inseguimento si era fatto inutile: si fermò a riprendere fiato, un momento solo; le sembrò che altrettanto facessero quelli davanti. Ecco anche lei è quasi giunta: vede al di sopra di sé la candida facciata del tempio, il frontone di pietra illuminato a giorno dal chiarore della luna. Filumena non si è accorta che la luce che l'ha accompagnata fin lì non è cresciuta d'intensità.

                    Quando sta per mettere piede sulla spianata, il canto dei fedeli è cessato: evidentemente sono entrati in chiesa. Giunge ai piedi del sagrato erboso, alza gli occhi per guardare all'ingresso e resta con un piede poggiato sul primo gradino. La porta della chiesa è chiusa. E la compagnia che l'ha preceduta per tutta la strada? E quel canto udito sempre alla stessa distanza? Mentre cerca una spiegazione a quel mistero, la torre dell'orologio di Nusco, alto là nel cielo della notte illuminata, scandisce il tocco che segna l'una. Istintivamente alza lo sguardo in alto e scorge il disco argenteo della luna che ha ingannato prima il gallo e poi lei.

                    Quel canto non può essere stato che delle anime del Purgatorio, le quali hanno voluto tenerle compagnia per tutta la lunga e faticosa strada. Ora tutto è spiegato. Filumena sale tutti i gradini, si rannicchia in un angolo della porta con la corona in mano e si riaddormenta fiduciosa e tranquilla, anzi contenta di quella disavventura che ha tutto il sapore del miracolo.

                                                                        

                                                                                                             Prof. Michele Della Vecchia

 

da IL NUOVO SUD  Periodico di Cultura e Informazione