Vacua presunzione di un nostalgico gigolo con alone di mistero

 

                                        Nell'occasione un abito di seta, nero, le conferiva un aspetto lineare e sobrio che, abbinato ad uno stile inconfondibile e a un fascino naturale, la rendeva irresistibile. Fatale e seducente, faceva girare la testa ai suoi numerosi spasimanti. Occhi neri, fianchi e seno da silhouette, incarnva il tipo di donna che tutti sognavano. Identica alla madre che, in gioventù, era stata la più ammirata e la più "inseguita " del luogo.

                                        Lui un giovanotto solido e vigoroso, aveva avuto in dono da madre natura un viso perfetto, da attore americano; un tipo freddo, opportunista. La sua arma migliore era lo sguardo, molto intenso e penetrante. Consapevole di questi vantaggi, conquistava facilmente il cuore delle donne: gli bastava un sorriso, un cenno, un invito. Allorché gli si presentava un osso duro, cambiava subito strategia: dava ad intendere di essere afflitto da gravi problemi di solitudine, invocava protezione o si proclamava uomo "bisognoso d'affetto". Tirava fuori tutti gli espedienti, pur di evitare la resa.

                                        Lontano da Nusco si "esibiva" senza alcun ritegno, ostentando sicurezza. A Nusco, al contrario, non poteva dimostrare la sua "vena artistica", giacché sarebbe venuto meno l'alone di mistero che lo circondava, sarebbe svanito l'effetto sorpresa, tanto utile nella confusione della grande città. Questione di raffinatezza e di coerenza... In verità, nessuno era a cono­scenza della sua nuova vita, essendo egli bravissimo nel camuffarsi.

                                        Da tre anni aveva lasciato Nusco per il Nord Europa, almeno così si diceva. In effetti, c'erano tracce di una sua sosta in Francia, in Svizzera, in Germania; pare facesse, ultimamente, la spola tra Milano, Roma e Zurigo. I più sostenevano, a ragione, che avesse sempre fatto il gigolo, anche se, in base alle notizie che lui faceva filtrare, ufficialmente risultava che le sue "professioni" fossero tante e variegate: operaio, cameriere, minatore, autista, giardiniere...

                                        Seguiva la regola del buon seduttore: concedersi poco, apparire raramente, promettere tanto. Il metodo "dell'assenza" lo aveva perfezionato durante gli innumerevoli incontri con le ragazze nordiche, inclini all'innamoramento ma altrettanto pronte a mollare tutto. Non sbagliava una mossa, tenendo bene presente che la fuga era il rimedio migliore quando la situazione s'ingarbugliava.

                                        Aveva un debole per Nusco che aveva lasciato più per ripicca che per altro; era lì, in sostanza, che assaporava un attimo di pace, lì c'erano i suoi, gli amici più cari. Sotto sotto malediva il giorno della partenza, ma ormai tornare indietro sarebbe stato un grave affronto per la sua "reputazione".

                                        Quella sera, fine maggio 1958, si erano appartati nella strettoia che porta dritto a san Pancrazio, dietro le Mura. Fu un incontro furtivo. Stranamente aveva ceduto al richiamo di quella donna deliziosa, venendo meno ai suoi propositi. Saliva dalla valle un'arietta. Un cielo nitido, incantevole, come d'abitudine a Nusco in tarda primavera. L'erba e le foglie riempivano il viottolo, mentre le ginestre fiorite erano dappertutto, fino a sfiorare i primi alberi di castagno.

                                        Amoreggiarono a lungo e appassionatamente. Lei parlò di tante cose. A lui chiese insistentemente una promessa, una frase che potesse rassicurarla. Come al solito, lui non fiatò, restò ad ascoltarla, ben sapendo che alle donne bisogna concedere tutto il tempo che serve per farle esprimere e fantasticare fino allo sfinimento.

                                        Di quell'incontro nessuno seppe niente, cosa rara a Nusco. Evitarono anche lo stuolo di ragazzetti che, abitualmente, prendevano di mira le coppiette, accovacciandosi dietro le balle di fieno, nel terreno che era lavorato da un vecchietto litigioso e burbero. Non contenti, i ragazzetti, nel momento più bello, lanciavano delle grida disperate, da far sobbalzare anche il più incallito "don Giovanni".

                                        Ebbero fortuna e il motivo c'era: si chiudeva la campagna elettorale per le legislative. Nusco - come è noto - era ed è molto sensibile alla politica. La gente faceva un tifo da stadio, tutto il paese era corso a sentire il comizio conclusivo. I due usufruirono di una piacevole coincidenza.

                                        Passarono mesi. Il nostro "giardiniere" o "minatore", se volete, si presentò a Nusco due o tre volte; lei lo attendeva sempre con ansia; la sua passione cresceva. Lui si dimenava tra le ballerine dei locali notturni o corteggiava alla rinfusa, non disdegnando qualche contessa in disgrazia. In fondo vivere in una grande città costava abbastanza caro... Cominciò a sentire la mancanza di Nusco. Cosa strana. Non appena si distoglieva dai suoi "impegni", eccolo in paese, taciturno e schivo. Adduceva motivi di famiglia. Le scuse più impensabili pur di vedere lei. Forse la figura di quella splendida ragaza lo aveva colpito e l'amore per Nusco aveva fatto il resto.

                                        Dicembre 1958. A Nusco faceva un freddo cane. Da ore andava avanti e indietro, dalla piazza ai giardini pubblici. Era teso perché non riusciva a vederla. Comprese tutto, quando un amico fidato gli rivelò la verità: da un po' di tempo era sparita, i suoi avevano indagato su di lui e l'avevano "tolta dalla circolazione". A tarda sera andava ancora alla ricerca di un appiglio, di un indizio. Niente. Si diede per vinto.

                                        Qualche capello bianco, appesantito nel fisico, anni dopo si "affacciò" di nuovo a Nusco. Il tempo - si sa - appiana tutto, lenisce ogni pena. Per lui no. Era un punto d'orgoglio, una scommessa da vincere. Un seduttore tutto può sopportare fuorché l'abbandono; deve essere sempre lui a non farsi rintracciare. Quando incrociò il suo sguardo, si senti rinascere. Lei abbozzò un sorriso, fece un cenno con la mano in segno di saluto. Bastò questo. Si senti appagato. Colei che era stata in grado di farlo tornare, per così dire, all'ovile non era riuscita a dimenticarlo...

                                        Magra consolazione, si dirà. Ma per l'avventuriero quel che vale è l'apparenza, l'illusione. Non può e non sa sopportare il rifiuto.

                                        Il nostro playboy se ne andò convinto di aver prevalso, di essersi affermato in modo netto e convincente. L'eroe aveva vinto la battaglia...

                                        Non fu nemmeno sfiorato dal dubbio che la sua poteva essere stata una vacua presunzione. Quanti di noi, almeno una volta nella vita, non si sono illusi di essere degli invincibili seduttori?

Varese, gennaio 2001   

                     

Angelo Pepe

da Il Nuovo Sud - Anno XXI  n. 1 (86) Gennaio - Marzo 2001